Credo che questa per un genitore, diciamo per un educatore in genere, sia una bella domanda.
Sarebbe se non altro opportuno porsela. Credo inoltre, che tra i tanti mestieri, quello dell’educare sia uno dei più difficili.
La delicatezza, l’investimento di energie, la determinazione e soprattutto la pazienza che bisogna impiegare sono effettivamente ingenti. Il punto è calibrarsi.
Quello del giudizio è un tema difficile. Ha a che fare con la Legge. Ha a che fare con la crescita, ma se usato nel modo sbagliato può essere riduttivo, castrante, doloroso, e può annientare. Oppure rendere la vita molto difficile.
Spiegare questo a un genitore, ma anche ad un insegnante è faticoso.
Non sono un’esperta letterata ma la parola “educare” deriva dal latino educĕre, che secondo alcuni significa portare fuori. Al di là dei latinismi, ciò che mi piace di questa parola è “ducĕre”. Condurre.
Mi viene in mente che “condurre” è diverso per esempio da “guidare”. La prima ha come caratteristica il fatto che si possa svolgere in compagnia, la seconda è un’azione che si può meccanicamente proporre ad un oggetto. Guido la macchina. Stop.
Educare. Condurre. Svolgere in compagnia. Forse ci stiamo avvicinando al punto.
Cercando un po’in giro, una definizione di giudizio in particolare mi è piaciuta: “è l’atto della mente che conferma o nega qualcosa”. Si può tradurre con “parere”, “opinione”. Mi verrebbe da dire con una certa leggerezza “punto di vista”.
Poi penso alla parola “critica”, che invece deriva dal greco e trovo questa definizione “Arte o Scienza di giudicare, secondo i princìpi del vero, del buono e del bello”. A fianco trovo un’altra definizione “censura”. Tra me e me dico, ma come? Passiamo dall’arte alla censura?
Tornando alla sequenza: educare, condurre, svolgere in compagnia, punti di vista, arte, censura.
Non male come conseguenza logica. Il fatto è che il punto è proprio questo. Cioè ,che quando si educa il rischio è quello di saltare tutti i passaggi intermedi e di passare quindi alla censura in un baleno.
Facciamo un esempio. Ho a che fare con un genitore che mi ricorda ad ogni lezione quanto suo figlio sia inadeguato. Me lo ricorda di fronte al bambino e a volte mi innervosisco. Soprattutto, mi fa notare con delusione che il bambino “non è in grado di”.
Secondo il suo punto di vista, questo è uno dei tanti modi per spronarlo a far meglio. Secondo il mio punto di vista (lo ripeto appositamente “punto di vista”), questo è solo un modo per farlo sentire incapace.
Come faccio a convincere quel genitore che questo modo non va bene?
Come faccio a fargli capire che la critica deve essere un modo per progredire e non per distruggere?
Mi dice, allora, che se il bambino è in difficoltà, lei deve farmelo notare. Ci sarebbe poi da discutere sul perché senta la necessità di farlo, (della serie, pensa che io non sappia quali sono le difficoltà di suo figlio? Viene qui apposta!) ma tralasciamo. Quindi, deve farmelo notare; va bene. Perché davanti al bambino? Perché, mamma, devi un’altra volta fargli presente il suo essere sbagliato rispetto ai tuoi canoni?
Poi cerco di calmarmi, penso che non è bene per il bambino se sono innervosita.
Chiederò alla mamma un colloquio, penso che abbia bisogno di regole. Infondo, la capisco. Quando una persona si giudica, giudica. Quando è stata molto giudicata, giudicherà. E se non si è appacificata con il suo giudizio, non può educare un altro ad un giudizio equilibrato.
Quindi, la capisco. Vorrei dirle, mi dispiace. Vorrei dirle, basta! sei libera! vai benissimo così! Ma purtroppo non ho questo ruolo. Io posso aiutare a trovare una strada con i mezzi disponibili, posso aiutare ad apprenderne degli altri ma non posso in nessun modo sostituirmi.
I miei bambini sono attanagliati dall’ansia. Sbagliano, coprono l’errore. Leggono male, si vergognano. Il disegno non è riuscito bene, lo nascondono. Mi affretto nel dire a tutti che a me gli errori piacciono. Dico che non siamo a scuola, e che io il voto non lo metto. Allora si calmano. Prendiamo in giro quelle parole dispettose, definizione di una mia bambina, insieme. Ingabbiamo gli errori in carceri di fantasia, e puniamo i responsabili con una lettura più attenta, convinta, determinata.
Loro sono protagonisti, sbagliano e crescono. Non, sbagliano e si mortificano. Chi l’ha detto poi che l’errore è un peccato?
Quello per prove ed errori è l’apprendimento più evolutivo che ci sia!
La responsabilità non si fa colpevolizzando gli errori, si fa accettando i propri sbagli.
Allora poi penso che se entrano con l’ansia ed escono felici, forse sono riuscita a condurre.