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Sono dislessico?

“Oggi sono dislessico!” Quante volte abbiamo sentito questa affermazione?

Il dislessico, a differenza di ciò che si pensa, non è la persona che fa fatica a parlare, bensì colui che non riesce a leggere.

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Quindi, se confondo le lettere sono dislessico?

Proviamo a sfatare qualche mito!

1. la diagnosi clinica è un procedimento raffinato in cui lo specialista, neuropsichiatra o psicologo, in collaborazione con altre figure come la logopedista, indaga il funzionamento delle abilità  necessarie o accessorie per leggere

2. la diagnosi segue delle regole ben precise, sia per i tipi di test da somministrare sia per i criteri da utilizzare

3. è necessario considerare tutta la storia del paziente, compreso lo sviluppo linguistico

4. ci sono dei fattori di rischio pregressi che devono essere considerati

Quindi non basta confondere qualche lettera per essere dislessici!

Quali indici sospetti si possono considerare?

 

Parliamo a Piccoli Passi

Di cosa Parliamo?

Il corso trae il suo spunto teorico dal Metodo delle Sillabe Orali. Vengono illustrati esercizi graduati e progressivi adeguati ad ogni livello di difficoltà linguistica. Offre una formazione specifica per il lavoro della terapista che vuole riabilitare e potenziare il lessico e la morfosintassi tenendo conto del grado di sviluppo fonetico – fonologico.

Perché Partecipare?

La stimolazione corretta del linguaggio in ambito riabilitativo ed educativo è uno degli obiettivi di crescita più importanti nella fascia d’età dai 0 ai 3 anni.

Cos’è Parliamo a Piccoli Passi?

- un metodo graduale

- consente la facile produzione del target

- è versatile

- permette di lavorare sulla comprensione e sulla produzione

- è materiale adatto al lavoro col bambino senza modifiche

 

*IL PROGRAMMA DEI CORSI*

8.30-9.00 Registrazione partecipanti

8.30 – 9.00 Registrazione partecipanti
9.00 Il bambino piccolo e lo sviluppo (0-3)
9.30 Lo sviluppo fonologico e le configurazioni
10.00 Parole e configurazioni: come utilizzare il Metodo delle Sillabe Orali

11.00-11.30 Break

11.30 Parte dimostrativa e pratica: uso del materiale con i partecipanti

13.00 – 14.00 Pausa pranzo

14.00 Lo sviluppo sintattico
14.30 L’importanza del gioco per stimolare la produzione delle prime frasi
15.00 Come integrare parallelamente la complessità delle parole e la costruzione della frase
15.30 Parte dimostrativa e pratica: uso del materiale con i partecipanti

16.00 Vantaggi e criticità nell’uso del materiale proposto
17.00 Conclusione dei lavori

 

Corso aperto a psicologi, neuropsicologi, psicomotricisti, logopedisti, educatrici di suola dell’infanzia e nido 

Date disponibili:

27 ottobre – Vigenza (PD)

10 novembre – Noale (VE)

Chi ha detto che la riabilitazione è solo per gli adulti?

Capita molto spesso di vedere arrivare alle sedute genitori preoccupati di che cosa può fare il terapista con un bambino piccolo.

L’idea è che la parola “riabilitazione” contenga in sé qualcosa di sanitario che sembra descrivere un momento tutt’altro che divertente.

La buona notizia  è che una delle abilità di un buon terapista è proprio quella di saper adattare il suo lavoro alle esigenze di ogni bambino. Sarà per tanto imprescindibile l’uso del gioco con i bambini piccoli. Questo non significa  che si gioca soltanto, che comunque rimane sempre un’ottima terapia, ma che per coinvolgere il bambino si cercherà di tenere conto del suo mondo.

L’aiuto dei genitori comunque è sempre importante. Sono i genitori che portano i bambini e sarebbe meglio lo facessero affidandosi al terapista incaricato.

A volte, quando il bimbo ha ancora 1 anno e mezzo o 2, si sceglie di suggerire ai genitori qualche strategia di stimolazione e comunicazione più adeguata invece che intervenire direttamente sul bambino. Niente paura! I bambini piccoli fanno parte di un sistema familiare,  sono soggetti molto dipendenti e l’aiuto dei genitori può cambiare moltissimo l’andamento di un intervento.

Cercate quindi di creare un buon rapporto di collaborazione con il terapista, se avete dubbi chiedete, se siete preoccupati fatevi tranquillizzare e, se possibile, utilizzate la riabilitazione come un momento di crescita e condivisione.

Parliamo a Piccoli Passi

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Parliamo a Piccoli Passi è la nuova pubblicazione di V. Padoan e M. Scarin. Il libro nasce nella clinica quotidiana dell’ambito logopedico. Come spesso succede, la necessità è quella di avere un materiale pronto all’uso che consenta di poter lavorare velocemente con i bambini. A partire dal Metodo delle Sillabe Scritte è stato creato un adattamento per il lavoro  con i più piccoli. Per chi ha già avuto modo di conoscere il Metodo delle Sillabe, alcuni termini presenti sono a bassa frequenza d’uso, infatti, viene privilegiata moltissimo la struttura delle parole. Mentre per i bambini più grandi questa è una possibilità accettabile, per i piccoli era necessario un sistema che fosse più ‘a misura’.

Il merito di Parliamo a Piccoli Passi è proprio quello di aver saputo convogliare diversi obiettivi in unico manuale:

  • proporre parole ad alta frequenza d’uso
  • monitorare la difficoltà/semplicità delle parole proposte
  • tenere conto che le etichette lessicali sono riferite a parole scritte ma si possono anche trovare gli oggetti corrispondenti (giochini)
  • ampliare il bagaglio lessicale del bambino
  • riabilitare DSL e DL espressivi e recettivi
  • proporre in parallelo un percorso per lo sviluppo della morfosintassi

Parliamo a Piccoli Passi è quindi un ottimo strumento per la riabilitazione logopedica. Può essere utilizzato anche alla scuola dell’infanzia come materiale di ampliamento linguistico utile a tutti i bambini. E’ facile, è intuitivo, è fatto per catturare l’attenzione del bambino.

Crescere bambini felici

thHTN0CHW9Se penso all’idea comune che sento di educazione, mi viene in mente un  passaggio del libro della Montessori “Il bambino in famiglia” in cui si dice che il bambino viene inteso erroneamente come una “cera molle” da plasmare a piacimento. Quello che spiega la Montessori è che l’adulto ha poca considerazione del bambino in quanto tale e tenderebbe ad assumersi un ruolo non propriamente equilibrato.

Sembra cioè, che l’idea sia quella di dover modellare, direzionare, un po’ costringendo l’educazione stessa verso una direzione ben precisa, oserei dire tranquillizzante per l’adulto. Parrebbe cioè che un bambino educato sia colui che rispetta e osserva tutto ciò che gli viene detto di fare, seguendo pedissequamente anche un certo modo di farlo.

 La Montessori non ci va per il leggero e, giustamente, definisce questa modalità ‘infernale’ e ‘diabolica’. Fa un ragionamento molto semplice che dice: se non si da al bambino la possibilità di crescere per ciò che è nella sua essenza, egli non avrà occasione di costruire nè di costruirsi e così l’azione dell’adulto diventa distruttiva.
 Mi permetterei di avvalorare la tesi aggiungendo qualche riflessione. Se la modalità dell’adulto non diventa maggiormente passiva, cioè non concede  al bambino più spazio di essere, in quanto tale, i rischi che si incorrono sono parecchi. Che cosa si può fare?
1. Il bambino è comunque un individuo a sé e va rispettato nelle sue sfaccettature; non può essere né un piccolo adulto, né la brutta copia di un genitore. È essenziale riconoscere un bambino per le sue caratteristiche peculiari.

2. Il bambino si può auto modellare; questo non vuol dire crescere un folletto indemoniato in balia di se stesso. Significa però concedergli una certa fiducia nel fatto stesso di sapere come si cresce.  Diciamo così, ognuno di noi vive perché ha una serie di condizioni organiche (e non solo) che lo consentono, nessuno di noi ha insegnato al cuore a battere o ai polmoni a respirare; per il bambino vale la stessa cosa, cioè anche lui ha una sua capacità intrinseca di sapere già come crescere. Questo sapere si traduce nella spontaneità che ha il bambino di osservare , di giocare, di ballare, di curiosare. È un sapere che deve essere assolutamente riconosciuto e valorizzato.

3. La Montessori suggerisce di trattare il bambino un po’ come un ospite illustre. Mi permetto di tradurre la cosa con una metafora: non è necessario crescere un principe tiranno, ma considerare il bambino come un individuo che è appena arrivato, uno che ‘è nuovo di queste parti’, uno a cui bisogna spiegargli i posti più belli da vedere, le vie da evitare, i tipi sospetti da non conoscere; a pensarci bene,  il ruolo degli adulti è veramente spettacolare. I genitori, in particolare,  possono diventare  le guide turistiche o essere delle specie di mediatori, che so tipo quelli della regina che ti illuminano su come ci si veste nelle occasioni speciali…

Cosa vuol dire educare?

C’è bisogno talvolta di ricordarsi cosa vuol dire educare. Nella frenesia quotidiana è difficile seguire il passo della crescita. Eppure, è necessario.

Allora, proviamo a tenerlo a mente con qualche consiglio:estilo-fantasia-37

 

1. libera espressione significa consentire ad un bambino di sbagliare. Forse per un educatore è la cosa più difficile perché assistere al fallimento, supportarlo e sopportarlo significa poterlo accettare in un tempo limitato, quasi cristallizzato, che resta un istante nella complessa trama della vita. Ma uno sbaglio oggi, in situazione protetta, può salvarti la vita domani.

2. crescere con lentezza: lo stupore ha bisogno di tempo; pretendiamo perfezione in poco tempo, efficienza e competenza, prestazione e disinvoltura. Come se dovessimo incasellarci in un puzzle composto da divinità. E se invece bastasse andare un po’ più piano? Non ci sarebbe così la possibilità di assaporare i momenti?

3. godersi i momenti:  gli istanti si perdono nel momento stesso in cui si vivono, “ogni lasciata è persa” e “carpe diem”. Il momento del primo “Mamma”, l’istante dell’intuito…”Ho capito” ti dice il bambino con gli occhi, tutti i giorni potrebbero essere prime volte! E allora perché lasciarli al turbinio della noiosa routine?

4. credere: che sia possibile credere! La costrizione fa in modo che l’unicità degli individui voli come foglie nella tempesta. Succede qualcosa di magico quando si crede, quando si ha fiducia nell’altro solo perché è lì davanti a te. Si rispecchia nei tuoi occhi e inizia a credere anche lui. Crede in sé stesso, crede di poter riuscire, crede di essere bravo. Perché l’ha visto, perché glile’hai mostrato!

5. sognare: essere troppo aderenti alla realtà ci fa essere noiosi; essere troppo fantasiosi ci porta al delirio. Ma il sogno, la fantasia, l’irreale, fanno parte di un mondo conservato gelosamente in ogni bambino. E pensare di trattare un bambino come un piccolo adulto, non solo significa aver dimenticato il proprio sogno, ma anche sopprimere quello dell’altro.

Sos sostegno scolastico

Ci risiamo, l’anno scolastico è cominciato e con esso anche i primi disagi.

“Fatta la legge, trovato l’inganno! ” L’inganno qui, cari genitori, è che se vi hanno raccontato che gli insegnanti di sostegno sarebbero diventati 3500 in più. Ad un comune mortale, questa pare una buona notizia, ma il dato di fatto, che in pochi hanno possibilità di raccontare se non tramite ricorsi e vie legali, è che la situazione non solo è invariata. Se possibile è peggiorata.

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Costantemente assisto, ogni inizio anno, al cambio dell’insegnante di sostegno. Vuoi perché “la preside ha deciso di destinare l’insegnante ad un’altra classe”, “trasferimento”, “non sappiamo” e fino a metà ottobre i bambini con disabilità possono trovarsi scoperti da un aiuto che è pressoché indispensabile.

Non solo, la legge prevederebbe una formazione accurata alle insegnanti curriculari affinché avvenga una vera integrazione e non ci sia una coppia (disabile/sostegno) all’interno della classe che svolge l’attività per conto suo. Ovviamente è pura utopia, chi dovrebbe preoccuparsi della formazione alle insegnanti?

Allora inizia il tram tram della ricerca delle responsabilità, i genitori inferociti vanno dalla dirigente scolastica, la dirigente li manda all’ufficio scolastico, l’ufficio scolastico rimanda alle decisioni regionali, la Regione ti spedisce al Ministero e tu, genitore, ti trovi sfinito a subire impotente una situazione che ricade su tuo figlio che dovrebbe essere tutelato e accolto dallo Stato, non abbandonato.

La situazione di sintesi è che se le insegnanti curriculari non sono formate, è difficile che accolgano un bambino disabile senza obiettare, se il sostegno non c’è o è vacillante, il bambino non solo è completamente disorientato rendendo vano il senso stesso di andare a scuola, ma quando arriverà una figura nuova dovrà cominciare da capo. Con l’insegnante di sostegno si dovrebbe creare un rapporto di fiducia talmente alto che dovrebbe essere a metà tra una relazione parentale, di amicizia e uno stimolo tale per poter progredire nella difficoltà. Conosco insegnanti di sostegno che sputano sangue per i loro bambini e a loro volta lottano contro un sistema che è delinquenziale, ma come si fa?

Per non parlare poi del quantitativo ore designato in base alla gravità. I genitori sono costretti a esultare per 2 ore alla settimana, 2 ore alla settimana? Ma chi si mangia i soldi della scuola?

Indipendentemente dalle responsabilità, Fiornoi, Gelmini, Moratti o chi per essi, mi piacerebbe che qualche ministrone, avesse la possibilità di toccare con mano cosa vuol dire. E mi piacerebbe anche che provassero tutti una sentita vergogna per non aver avuto e non avere la capacità di risolvere una situazione che ha la priorità su tutto. Le scuole cadono a pezzi, le insegnanti sono mediamente demotivate, i genitori ne hanno le tasche piene, e i bambini?

Chi pensa ai bambini?

Buona Scuola!

Cari Bambini,
Da poco è iniziata la scuola. C’è chi inizia per la prima volta, chi ormai è abituato. Mi sento comunque di farvi un augurio sincero per la crescita della vostra infanzia.
Vi auguro di vivere in una nuvola di amore, di essere viziati di affetto e che nessuno risparmi il suo amore per voi. Vi servirà.
Vi auguro di conoscere con gioia, di mantenere viva la curiosità anche per le cose banali, di non smettere mai di chiedervi perché anche se gli adulti sorridono quando ve lo sentono dire.
Vi auguro di correre, se non con le gambe, con la fantasia, il più lontano possibile, per mantenere viva quella capacità che è unica dell’essere umano. Essere creativi.
Vi auguro di poter attingere sempre sicurezza e passione da chi vi vuol bene e di costruire una vita di spassionata felicità. Vi impediranno di essere infelici.
Vi auguro di ridere ancora per le sciocchezze, ma soprattutto di stupirvi di ogni cosa. Saranno il motore quando farete fatica.

Per il resto, Buona Scuola!

Cercasi educatrice

Cerchiamo educatrice formata e preparata con specifica formazione nell’aiuto compiti. 
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Si richiede disponibilità per aiuto compiti dal lunedì al giovedì dalle 15.30 alle 17.30 in provincia di Padova per due fratelli, uno delle superiori e uno di terza media.

Meglio se automunita.

Si prega di inviare curriculum con foto e lettera di presentazione all’indirizzo e -mail: cercasi.educatore1@gmail.com

Verranno prese in considerazione solo e-mail che  rispettino queste caratteristiche.

ATTENZIONE: l’annuncio è valido fino al 30 settembre

I geniali bimbi del futuro

Accolgo con un certo stupore le espressioni di meraviglia di quei genitori che osservano i figli ancora infanti gozzovigliare con telefoni e tablet.

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La scena che si presenta è all’incirca così: il bambino, colto da una fase di urlo acuto, pretende con insistenza che gli venga lasciato l’oggetto del desiderio.Tablet o telefono che sia.

Il genitore, soddisfatto, mi mostra la grande capacità del bambino di entrare su You Tube e selezionare un cartone di Peppa Pig, già ad un anno.  Figurarsi come aumenta la meraviglia se invece di selezionare You Tube il bimbo in questione riesce ad entrare nella posta di mamma, o più banalmente a lasciarsi intontire dal suo gioco preferito.

Fantastico.

Non mi sono mai accorta di questa geniale capacità da parte dei bambini. In realtà pensavo che creare semplici  ma efficaci associazioni fosse una loro iniziale prerogativa, ma forse sia io che il buon Piaget ci sbagliavamo.

Secondo questo illustre ricercatore, uno tra i primi ad aver descritto accuratamente le tappe evolutive dello sviluppo umano dalla nascita all’età adulta, ad un certo punto, che si può evolutivamente collocare tra i 12 e i 18 mesi, il bambino intuisce che procedendo per prove ed errori si trovano diverse soluzioni ad un problema; questo, in buona sostanza, significa avere la capacità di riconoscere di possedere uno schema di comportamento, verificare che quello schema non funziona, e scegliere un’altra procedura.

Questo sì è fantastico.

Allora mi viene il sospetto che il mio genitore, non sia tanto affascinato dalla capacità in sé, quanto dal fatto che quel piccolo genio ha imparato prima dell’età adulta.

Questo implica riconoscere a quel piccolo bimbo un perfetto “delirio di onnipotenza” poichè il confronto in opera si svolge con un soggetto di trent’anni più grande.

Forse devo essere più semplice. Il bimbo ad un anno sa usare il tablet, io che ho trent’anni ho appena imparato, allora mio figlio ad un anno ha la prestazione di uno  di trenta.

C’è qualcosa che sul sillogismo non mi torna. Tra l’altro mi viene anche un sospetto. Non è mica che quelli che hanno progettato queste macchine, pensando che dovessero essere il più semplice possibile, hanno pensato di renderle così immediate, da essere utilizzabili già ad un anno o giù di lì?

Vorrei insinuare il sospetto che non c’è nulla di geniale in ciò che questi bimbi fanno, perché in realtà la genialità sta nell’essere umano stesso, per come è stato creato, e con le dotazioni “di base” che ha geneticamente ricevuto.

Tra l’altro vorrei permettermi una critica. A trent’anni si impara ad usare il tablet, dopo un percorso che riguardava, almeno durante l’infanzia, la relazione con il proprio  corpo, con gli oggetti, la possibilità di poterli toccare, annusare, vedere, cercare. E non solo, ovvimente. Ma cerco di elencare tutto ciò che si perde lasciando i piccoli per ore davanti ad una macchina.

La possibilità di scoprire gli oggetti, intuire le relazioni di causa effetto, imparare schemi comportamentali nuovi, seguire lo sguardo della mamma, cercare o rifiutare la relazione con gli altri, imparare a star seduti, a camminare, a parlare, vedere come cambia il modo di giocare, non sono queste le cose affascinanti dell’infanzia?

Perché i genitori hanno avuto la possibilità di sperimentarle e a questi bimbi invece si attribuisce una genialità per l’utilizzo di un tablet?

Sarà più importante puntare alla crescita dell’individuo o ad insegnare l’uso di quella che è inevitabilmente una stampella?

Come farà a scegliere quale tablet comprarsi da più grande se non ha imparato a scegliere prima perché troppo impegnato a giocare con esso?

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